Mohammed Ben Sulayem, imprenditore ed ex pilota di rally emiratino, da quando è stato eletto Presidente della FIA, ha raccolto più fallimenti di tutti gli altri numeri uno che lo hanno preceduto. Iniziamo diretti e senza peli sulla lingua, nello stile che ci contraddistingue.
Eletto il 17 dicembre 2021 e succeduto al francese Jean Todt appena 5 giorni dopo i fatti del Gran Premio di Abu Dhabi, il nostro prode si trova subito tra le mani una patata bollente. Tra il silenzio che fece tanto rumore dell’epta-campione Lewis Hamilton e il team principal e direttore esecutivo del team, Toto Wolff, che voleva la testa dell’australiano Michael Masi, reo di aver piegato le regole, dovette subito affrontare una questione di grande delicatezza.
Masi, è storia nota, fu allontanato e al suo posto furono scelti due race director: il tedesco Niels Wittich e il portoghese Eduardo Freitas che si alternarono per il campionato 2022 fino a quando Freitas, dopo il Gran Premio del Giappone, fu considerato il responsabile dell’improvvido ingresso di una gru in pista per recuperare la Ferrari di Carlos Sainz mentre il pilota dell’Alpha Tauri, Pierre Gasly, rientrava in gruppo sotto la pioggia che riduceva la visibilità. Quell’episodio causò la rimozione del portoghese lasciando al solo Wittich la gestione delle gare. Ruolo che tutt’oggi ricopre.
Ma i problemi non furono risolti dalla guida monocefala. Nel Gran Premio d’Italia, durante gli ultimi giri, la McLaren di Daniel Ricciardo si ferma per una perdita d’olio alla seconda curva di Lesmo. Wittich mandò in pista la Safety Car che invece di mettersi davanti al leader della gara, Max Verstappen, entrò davanti alla Mercedes di George Russell, terzo in quell’istante.
I commissari di pista non riuscirono a mettere in sicurezza la vettura e furono costretti a richiedere l’intervento della gru. I tempi si dilatarono così tanto che la gara si chiuse sotto regime di Safety, con enorme disappunto degli spettatori e dei vertici della serie.
Ben Sulayem: le controversie superano la sfera della pista
Con lo sforamento da parte della Red Bull del budget cap nel campionato del mondo di F1 2021 vinto da Max Verstappen, si apre un’altra questione che indica una non brillante gestione di certe dinamiche. Il team austriaco viene sanzionato con una pena pecuniaria di 7 milioni di dollari e il 10% in meno dell’utilizzo della galleria del vento e delle analisi CFD. Gli avversari avrebbero voluto una sanzione molto più dura o, come detto dallo stesso Ben Sulayem, avrebbero “voluto vedere il sangue“. La contrattazione tra la FIA e Horner non piacque ai più, una macchia che resta tutt’oggi.
A gennaio 2023 il Presidente della FIA, per non farsi mancare nulla, va allo scontro frontale con Liberty Media quando giudica spropositata l’offerta da 20 miliardi di dollari del fondo PIF per acquisire la Formula 1. Liberty Media accusò Ben Sulayem di intromettersi in questioni che non gli competevano minacciando querele.
Da quel momento è un succedersi di frecciate più o meno pesanti. Il dirigente emiratino criticherà l’elevato numero di Gran Premi in campionato, il fatto che questi si disputassero in luoghi “esotici” rimarcando che il cuore del motorsport è l’Europa. Anche in quella circostanza, il CEO della F1, l’imolese Stefano Domenicali, non mandò di certo a dirle.
Nello stesso periodo, l’ex rallista viene travolto dall’ennesima bufera. Dal web spunta fuori una sua frase estratta dal sito personale, una dichiarazione misogina risalente al periodo 2001/2002 che recitava così: “Non mi piacciono le donne che si credono più intelligenti degli uomini perché non è la verità”. Fu necessario emettere una nota nella quale si affermava che quello non era il pensiero dell’ente parigino. Ma la frittata rimase.
Altro capitolo, e veniamo alla storia recente, è quello che riguarda il Wolff-Gate. La FIA comunica di aver avviato un’indagine nei confronti di Toto Wolff e di sua moglie Susie Stoddart a causa dei conflitti d’interessi. Giorni di bufere ne seguirono finché la FIA, dopo la protesta di tutte le scuderie e dei vertici della FOM, fu costretta a chiudere l’indagine in fretta e furia.
All’inizio del campionato mondiale di F1 del 2024, Mohammed Ben Sulayem è stato accusato da una “gola profonda” della FIA di aver fatto annullare una penalità di 10 secondi al pilota spagnolo Fernando Alonso della Aston-Martin nel Gran Premio dell’Arabia Saudita del 2023. Oltre a questa accusa, ancora da comprovare, a Ben Sulayem viene imputato anche il tentativo di sabotare il Gran Premio di Las Vegas (GP organizzato da Liberty Media stessa). Il manager sarebbe reo di non aver concesso il certificato di idoneità.
Nello stesso lasso di tempo scoppia il caso “Red Bull-gate” in cui il team principal e CEO di Red Bull Racing, l’inglese Christian Horner, viene accusato di molestie sessuali verso una dipendente dell’azienda per cui lavora. Questa è la causa scatenante di una guerra intestina al team: da una parte Horner e dall’altra i Verstappen, Helmut Marko e, si dice, Adrian Newey.
La BBC, il 16 marzo, dà la notizia che la donna, dopo essere stata sospesa a seguito dell’indagine indipendente condotta dalla Red Bull, ha deciso di ricorrere al Comitato Etico della FIA denunciando il suo capo. La questione sembra tutt’altro che risolta. Vicenda, questa, di cui il manager emiratino non ha chiaramente responsabilità ma sulla quale è chiamato ad esprimersi attraverso l’organo che dirige. E visti i precedenti qualche timore sorge.
FIA: la gestione nel passato era più incisiva
I suoi predecessori più illustri dovettero affrontare grane molto spinose. Il francese Jean-Marie Balestre dovette ad esempio gestire prima la “guerra FISA-FOCA” che portò, nel 1981, al primo Patto della Concordia (nominato così per l’ubicazione della FIA, al n°8 di Place de la Concorde di Parigi) e poi la gestione della famigerata squalifica di Ayrton Senna dal Gran Premio del Giappone che portò al terzo titolo mondiale ad Alain Prost.
Max Mosley affrontò invece le tragiche scomparse sul circuito di Imola di Roland Ratzenberger e di Ayrton Senna conducendo poi battaglie per la sicurezza delle monoposto e dei circuiti. Dovette altresì gestire il caso del Gran Premio degli Stati Uniti, ad Indianapolis 2005, in cui gareggiarono solo 6 monoposto gommate Bridgestone dato che la Michelin non garantiva la sicurezza delle proprie gomme.
Ancora, si ricordi la “spy story” tra Ferrari e McLaren e lo scontro tra la FIA e la FOTA, l’organizzazione dei vari team, che minacciavano di creare un campionato di F1 diviso dalla FIA. L’epilogo della sua carriera fu il non edificante scandalo sessuale che portò alle dimissioni.
Balestre e Mosley, con tutte le varie questioni calde che hanno dovuto affrontare in carica, hanno comunque avuto la forza di andare avanti e di gestire le cose col pugno duro. Al contrario, Mohammed Ben Sulayem sembra essere in balìa degli eventi: quasi inadeguato per il ruolo ricoperto.
Appena alza la voce c’è sempre chi, da Liberty Media o dai team, è pronto a zittirlo. Una Mancanza di autorevolezza che sta limitando l’azione della FIA. Con poco meno di 2 anni e mezzo di mandato consumati verrebbe da definirlo non proprio il miglior presidente nella storia della FIA.
Crediti foto: FIA, F1