Avviso ai naviganti: questo articolo non rappresenta una difesa nei confronti di Mattia Binotto. Né, peggio ancora, intende sminuire il grande lavoro che sta facendo Frédéric Vasseur. È un semplice tentativo, nello stile di Formulacritica che cerca di osservare i fenomeni da angolazioni diverse, per spiegare che il vento che soffia su Maranello è cambiato drasticamente rispetto a due anni fa.
Se questa rotazione dell’aria è giunta potrebbe anche essere dipeso dal fallimento del paradigma usato dall’ingegnere di Losanna. La sua promozione a team principal serviva per riportare la Ferrari in cima alla Formula Uno proprio nel momento in cui le regole del gioco andavano a mutare in maniera netta.
Come sono andate le cose è noto. Dopo l’iniziale illusione il sogno iridato si è interrotto in un tiepido pomeriggio spagnolo, quando il motore di Charles Leclerc ha esalato il fatale respiro evidenziando problemi endemici che sarebbero stati rattoppati ma non risolti fino all’anno successivo.
Ferrari: il cambio di passo nasce col governo Binotto
Questo e altri problemi (gestione strategica, comunicazione con l’esterno mai serena, amministrazione in pista della coppia piloti deficitaria, progetto tecnico incapace di progredire) hanno determinato un defenestramento spacciato come consensuale ma che tale non era.
La Ferrari ha di fatto mollato Mattia e con esso ha voluto abbandonare tutto ciò che non funzionava anche per responsabilità non ascrivibili all’ingegnere motorista italo-svizzero che nei quadri rossi ha fatto tutta la trafila, da novello laureato fino a sedersi sullo scranno più alto del potere della Gestione Sportiva.
La Ferrari, ancora, ha capito che non è il solo gestore principe a poter scrivere i destini della scuderia nella massima serie. John Elkann e Benedetto Vigna hanno finalmente appurato, dopo un immobilismo sportivo non accettabile per un’equipe blasonata come quella del Cavallino Rampante, che era necessario sforzarsi di più rispetto a qualche sparuta presenza nei paddock.
Frédéric Vasseur, nello stesso contesto funzionale in cui ha operato Mattia Binotto, probabilmente, non avrebbe potuto affondare colpi che stanno lasciando a bocca aperta l’intera Formula Uno.
In principio è stato Loic Serra, poi è arrivato Lewis Hamilton, ora è in procinto di firmare, se le cronache imperanti troveranno conferma, Adrian Newey. Un crescendo di nomi pesanti che spostano gli equilibri e danno contezza del fatto che il futuro di Maranello è roseo.
Finalmente Ferrari torna a fare sul serio replicando, con i dovuti distinguo storici, quanto fatto da Gianni Agnelli e Luca Cordero di Montezemolo quando affidarono le chiavi del team a Jean Todt che ebbe libero mandato e fondi quasi liberi per ingaggiare Michael Schumacher, Ross Brawn, Rory Byrne e tutta una serie di altre figure apparentemente meno importanti ma che furono decisive a muovere il meccanismo rosso che, a un certo punto, iniziò a produrre vittorie a raffica che sfociarono nel miglior ciclo della Ferrari, uno dei più lunghi della storia della Formula Uno.
Non vedere quest’accelerazione programmatica è da orbi. O da persone preconcette. I contesti in cui Binotto e Vasseur hanno agito del tutto opposti. L’ex team principal, comunque, non va considerato una vittima del sistema: l’immobilismo della Ferrari potrebbe anche essere dipeso dalla mancanza di fiducia della dirigenza che ha cercato e voluto un altro tipo di profilo, un uomo che sapesse essere più politico che tecnico. E Vasseur lo sta dimostrando a suon di acquisizioni rumorose e spiazzanti.
Binotto potrebbe aver pagato la politica del rinvio. L’aver voluto scommettere, in poche e semplici parole, sulle regole 2022 costringendo la Ferrari a fare da spettatrice dal 2020, quando scoppiò la grana del depotenziamento della power unit a seguito della nota vicenda relativa all’uso “fantasioso” dei flussometri.
Fatti che, lentamente ma irreversibilmente, hanno minato la fiducia delle figure apicali dell’azienda che hanno tirato il braccino imponendo una rivoluzione di cui Vasseur è la parte visibile ma che è molto più grossa di quello che si vede oltre il pelo dell’acqua.
Probabilmente solo nel 2026 percepiremo gli effetti di questo cambio di marcia. Di certo, oggi, il futuro della Ferrari sembra essere molto più roseo di quanto non lo fosse nell’interregno binottiano.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing
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